Ipotesi di manovra.
Come sapete sono un animale abitudinario. Le mie giornate sono costellate di piccoli rituali, che si ripetono uguali a loro stessi, con il minimo di variazione necessaria per rientrare nel regno animale piuttosto che in quello vegetale.
Quando salgo in macchina, per esempio, sfilo la gaccia, la metto sul sedile posteriore, tolgo i cellulari dalla tasca, li metto sul cruscotto, mi siedo, mi aggiusto sul sedile, sposto i cellulari dal cruscotto ai portabicchieri, metto la cintura… e sono pronto ad avviare il motore. Non è un affare di una mezz’ora, ma tra una cosa e l’altra può passare un minuto, che detta così pare poca cosa, ma provate a stare in auto per un minuto in attesa che quello davanti a voi liberi il un parcheggio… siamo al limite della crisi di nervi. Così, quando i posti scarseggiano, salto alcuni passaggi della mia amatissima procedura in favore di un bene più grande. Praticamente merito un Oscar al senso civico.
Giovedì scorso, o ieri come ad alcuni piace chiamarlo, dopo aver bighellonato al mercato di Portogruaro mi sono messo sulla via di casa. Avevo poca fretta e parecchie scartoffie a cui volevo dare uno sguardo, così ho meditato di sedermi in auto, cercare quello che mi interessava, trascriverlo nel blocco degli appunti e poi partire. Il piazzale era pieno e c’erano alcune auto che ci si aggiravano alla ricerca di un pertugio in cui infilarsi. Colto da un rigurgito di cortesia ho rivisto i miei programmi: prendere auto, sposarmi in un altro piazzale, leggere/trovare/trascrivere e poi tornare verso casa.
Non avevo ancora aperto lo sportello e già c’era un pretendente, con tanto di freccia lampeggiante. A riconfermare il mio odore di santità, ho messo da parte il mio rito d’ingresso e nel giro di dieci secondi ero pronto a partire.
Comincio la retro… l’autista in attesa è venuto troppo avanti.
Poco male, mi muovo lentamente così avrà il tempo di lasciarmi spazio… immobile.
Lui dietro, lo spigolo di un’altra auto in sosta davanti, per uscire dovrei fare ventontanta manovre. Aspetto, capirà… immobile.
Conto fino a dieci… immobile.
Torno in avanti, mi riparcheggio, spengo l’auto e pesco le mie scartoffie. Viene avanti, abbassa il finestrino.
– Eì.
‘Eì lo dirai al tuo scarafaggio domestico, bifolco maleducato.’ Abbasso il finestrino, sorrido.
* Sì?
– Non vai via?
* Ci ho provato, ma ho incontrato un oggetto inamovibile e non volevo correre il rischio di generare un paradosso logico ricorrendo a una forza inarrestabile.
– Eh?
* No, non vado via.
E’ andato via lui, esprimendo la sua opinione riguardo alle mie scarse doti mentali e al mio errato atteggiamento nei riguardi del vivere civile… sì, insomma, mi sono beccato dell’idiota e dello stronzo. Dietro c’era un’altra auto, ho poggiato le carte e acceso il motore, si è fermata lasciandomi ampio spazio di manovra. Io sono tornato verso casa e lui a parcheggiato.
Stay Tuned.
Aggiornamento: Libri in Viaggio.
Il lato oscuro della medicina.
La biblioteca di Portogruare apre alle nove, io arrivo qualche minuto prima e spesso non sono il solo a gravitare nei pressi del portone, in attesa. Questa mattina eravamo in quattro: io, Englishman, ScommessaSicura e un ignoto. Essi parlavano, io udii…
SS – […] così mio cognato è andato dal medico per l’ernia e quello l’ha riabilitato.
I – Ed è ancora vivo? No, perché giù per una cosa del genere…
SS – Questi sono quelli che vengono da fuori… che non sanno. Quello era andato per prendere di più e invece adesso non prende neanche i quattrocinquecento euro di pensione di invalidità di prima.
Da lontano una voce si sovrappone alle loro… ed eccomi catapultato ai confini della realtà.
Un luogo dove il compito dei medici non è curare, ma garantire un livello di malessere tale da permettere di rientrare nella felice categoria degli invalidi… o mentire quel tanto che basta per ottenere il medesimo risultato.
Stay Tuned.
Troll di prato.
Pocanzi mi dedicavo alle meraviglie di quel rito antico ma sempre attuale che prende il nome di colazione. Sorseggiavo il mio latte macchiato quando… squeek… squeek… squeek.
Una famigliola lungo il marciapiedi. Lui e lei, ragguardevolmente tatuati e il pargoletto con delle ciabattine antifurto che scricchiolavano ad ogni passo.
Entrano nella veranda, scelgono un tavolo e prendono posto.
Il pupo, due anni circa, scruta i genitori e quando è certo che siano seduti si sposta sul tavolo accanto. La madre lo chiama e lui si guarda intorno, indifferente, con le gambette che ciondolano. La madre va a prenderlo e lui si lascia portare a peso morto, imbronciato e con le braccia incrociate.
Ordinano. Attende.
Vengono serviti. Attende.
Prendono il primo sorso. squeek… squeek squeek. Scende dalla sedia e si muove di qualche passo intorno al tavolo.
La madre lo osserva. squeek. squeek… squeek squeek. Gironzola tra un genitore e l’altro.
La madre si distrae. squeek… squeek squeek… squeequeequeequeek. Prende la fuga.
Viene recuperato e rimesso a sedere. Se solo avesse palla e guantone sarebbe una buona approssimazione di Steve Mcqueen, battuto ma non sconfitto.
Dopo il caffè la madre si allontana. E’ l’ora della sigaretta e ha la cortesia di non fumare tra gli altri avventori, oltre all’accortezza di non dividere il tabagismo con il bimbo.
Accende la sigaretta, prende un tiro. squeequeequeequeek. La raggiunge al trotto, colto da un’improvviso slancio d’affetto e si protende per essere preso in braccio. Con incredibile tempismo si è ricordato che lo spietato carceriere è anche sua madre.
Perché non tutti i troll vivono nella rete.
Stay Tuned.
Di urgenze impellenti e sviste pericolose.
Qualche giorno fa scrivevo:
Non potremo dirci una #SocietàCivile fino a quando non verrà istituità la #PenaDiMorte per chi non usa lo sciacquone.
Questa mattina andavo di fretta.
Trovare il bagno dei maschi occupato mi ha messo di fronte alla scelta tra usare quello delle femmine o usare quello delle femmine.
Mentre sperimentavo la trascendenza spirituale della minzione a lungo attesa ho sentito lo schiocco della serratura e l’aprirsi della porta accanto. Quello che non avevo sentito era il suono dello sciacquone. Mi sono sentito in dovere di dire la mia.
– Ha dimenticato di tirare l’acqua.
* Non rompere, stronza.
Mi sono irritato? No di certo, nulla poteva intaccare la mia pace interiore.
Ho pigiato il tasto dello sciacquone, aperto la porta e mi sono affacciato sul ragazzino che stava per uscire dall’antibagno.
[immagine di DemonMew]
– Senti merdina, visto che adesso in quel cesso ti ci affogo, fossi in te l’acqua la tirerei.
Incredibile a dirsi, ma la sorpresa di una donna barbuta e visibilmente più grossa di lui lo ha portato a più miti consigli.
Stay Tuned.
13 & 17
Siamo abituati a considerare il 13 e il 17 come forieri di sfortuna e basta una semplice ricerca su google per scoprire molte diverse interpretazioni del loro significato e del motivo per cui si siano fatti questa nomea, ma cosa dire di quello che sta nel mezzo?
Già, ma cosa c’è tra il 13 e il 17?
Qualsiasi studente liceale sa – o dovrebbe sapere – che la risposta varia a seconda dell’insieme numerico preso in esame. Se si parla di Numeri Naturali (o quelli Interi) ci saranno il 14, 15 e 16; se invece consideriamo Numeri Razionali, Irrazionali o Reali, la faccenda si complica e i numeri compresi diventano infiniti.
Per quel che mi riguarda entrambe le risposte sono sbagliate. Tra il 13 e il 17 c’è solo il nulla. Tra le tredici e le diciassette, tutto quello che si può trovare sono:
Nella pausa pranzo ho trovato un gatto.
Un gatto palesemente domestico, con tanto di collarino e campanello – ma senza nomi o numeri di telefono – che mi è zompato in braccio, tra fusa e festeggiamenti.
Ho provato a chiedere nelle case vicine, ho trovato alcune persone che hanno diffuso la richiesta nei locali dei dintorni, ma nessuno lo aveva mai visto e così, tra google e telefono mi sono messo alla ricerca di qualcuno che potesse occuparsene fino a quando il proprietario si fosse fatto vivo.
Ho passato due ore e mezza tra segreterie telefoniche, numeri inesistenti e chiacchierate infruttuose con persone più o meno gentili per arrivare alle conclusione che dalle 13:00 – orario di chiusura dell’ufficio del chisseloricorda – fino alle 17:00 – orario di inizio della reperibilità del Distretto Veterinario – se hai trovato un gatto a Portogruaro o dintorni… beh, sono cazzi tuoi.
Tra poco dovrebbero chiamarmi e se non lo faranno proverò a richiamare io… nel mentre sarò grato a chiunque sappia darmi qualche informazione riguardo a sifatta bestiUola.
Gironzola in Piazza Ippolito Nievo, in quel di Portogruaro, o almeno si trovava lì quando la fine di batterie, credito e traffico dati mi ha fatto tornare in biblioteca.
Stay Tuned.
La Cattiveria del Giorno: “Piuttosto.”
Come ho già avuto modo di dire, sono una creatura abitudinaria.
La biblioteca non fa eccezione a questo fatto e quando mi rifugio a lavorare tra i libri lo faccio seguendo alcune prassi ormai radicate. Occupo il “mio” posto, sistemo stampe e appunti, avvio il portatile e lo collego all’alimentazione assieme ai cellulari… poi mi metto al lavoro.
Per fare tutto questo occupo un tavolo. Attorno al tavolo ci sono quattro sedie e senza dubbio potrebbe ospitare quattro persone che leggessero un libro o quattro studenti con un unico testo di riferimento. Di fatto se ci sono di mezzo montagne di appunti e/o computers ci si può stare in due. Essendo il primo ad arrivare tendo ad allargarmi, ma se arriva qualcuno raduno le mie cose in modo da lasciarli tutto lo spazio possibile.
Così è successo anche ieri, quando una signora è entrata nella “mia” stanza con un libro sotto il braccio e le mani occupate da un cellulare e relativo caricabatterie. Il suo paziente ha emesso il fatidico bip della fame atavica e nello sguardo la solerzia è scivolata verso il panico. Ha raggiunto il tavolo, si è seduta e masticando qualche cosa a proposito della maleducazione di chi considera tutto di sua proprietà ha staccato uno dei miei alimentatori dalla multipla per attaccare il suo.
La osservo con aria perplessa, ricambia con uno sguardo di sfida. La accontento.
– Mi scusi, è mia.
* Che discorsi sono… se una ha bisogno. Non sei mica a casa tua che puoi fare quello che vuoi. UrcaUrcaTirulero. O tempora, o mores.
– Non ci siamo capiti. E’ mia nel senso che mi appartiene. Me la porto da casa e ci faccio un po’ quello che mi pare.
Momento di gelo. Sguardo vacuo. Reboot di sistema.
* Beh… potresti lasciarmela usare. Mi sta finendo la batteria e aspetto una chiamata importante.
– Potrei, certo e se me lo avesse chiesto in modo educato avrei anche sorvolato sul controsenso di aspettare una telefonata in una sala studio ma così… preferirei tagliare il cavo con una tronchese e buttare tutto dalla finestra. Ecco, si riprenda il suo caricabatterie e buona giornata.
Ha detto qualche cosa d’altro – immagino un vivido affresco dalla sua riprovazione – ma il mio fanciullo interiore faceva troppa cagnara ridendo e non ho sentito una sola parola.
Stay Tuned.
In poche parole: “Fame.”
Hai fame. Possibile.
Chiedi aiuto per mangiare. Lecito.
Ti offro di dividere il pranzo, ma vuoi soldi per un trancio di pizza. Inaccettabile.
Aggiungerei: cinque euro? dove la compri la pizza a cinque euro al trancio? hai preso alla lettera Colazione da Tiffany?
#mavaFFangù!
Stay Tuned.
Scusate, c’è un tecnico in sala?
Gironzolando in quel di Portogruaro, pensieri persi e naso all’aria, ho visto questa cosa.
La cosa grossa è una canna fumaria – fino a questo arrivo – ma cos’è quella specie di tubo che ci si arrotola intorno? A cosa serve? Perché ha quella forma? E’ parte di un impianto e, in questo caso, qual è la sua funzione? Si tratta del lascito di un architetto estroso, che aveva finito lo spazio interno per le sue minchiate e quindi è ricorso al tetto? E’ un’opera d’arte moderna che rappresenta una spogliarellista chiattona avvolta nel suo serpente?
Brancolo nel buio… aiuto.
Stay Tuned.
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