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Tramando: “Vacanze d’estate”

Vacanze d'estate

Eccoci al terzo ed ultimo racconto. Come sempre vi lascio al racconto senza rubarvi altro tempo.

*** *** ***

«Aspettami, non correre così.» La voce di Lucy era squillante di giovinezza e trafelata per la corsa. L’amore della bambina per carne ed intingoli era ben visibile sulle braccia paffute e sul visetto rotondo, arrossato ed incorniciato da capelli color del grano maturo. Il rumore dei ciottoli si mescolava allo sciabordio delle onde e l’odore salmastro del mare, che prima le aveva fatto storcere il naso, ora era divenuto familiare.
Charlie le lanciò un’occhiataccia e sospirò: non avrebbe mai dovuto portarla su quella spiaggia, era un posto per uomini, non per femminucce. Lei però era la sua migliore amica ed aveva tanto insistito per vedere il posto dove lui ed i suoi compagni di marachelle erano soliti giocare. «Dai, muoviti. Se fai così non arriviamo più alla caverna.» La corsa accompagnò la bambina fin a pochi passi dall’amico e lì lei si fermò in un esagerato ansimare. Prendendo a prestito un gesto ben più adulto della sua età, Lucy poggiò le mani sui fianchi e squadrò il ragazzo mentre il petto ancora seguiva il ritmo accelerato del respiro.
«Sì, ma non correre però.» Borbottò fingendo un’indignazione che non le apparteneva. «Qui si scivola e se cado poi la mamma mi sgrida.»
«Ah, donne.» Sbuffò di rimando. «Siamo quasi arrivati, poi lì c’è il rifugio segreto e possiamo sederci.» Dichiarò per spronarla con il miraggio di un posto dove riposare. «Vieni.» Si rimise in marcia seguito d’appresso dalla bimba.

Charlie aveva la stessa età di Lucy, ma era parecchi centimetri più alto e, mentre lei era la più pigra della classe, lui era il più prestante. Il padre, un allevatore, l’aveva cresciuto secondo dei rigorosi principi di merito e gli aveva insegnato il valore del lavoro. Sebbene ancora dovesse compiere nove anni, ed il suo maggior impegno fosse la scuola, Charlie aiutava la famiglia in un gran numero di faccende. Aveva capelli scuri e lucidi che scendevano qualche centimetro oltre la nuca, il necessario per poterli riunire in un minuscolo codino.
Un vezzo a cui il padre aveva accondisceso per premiare i suoi risultati scolastici. Una parte del merito per quei buoni voti andava a Lucy: lei eccelleva nelle materie scientifiche che tanto mettevano in difficoltà l’amico e lo aveva sempre aiutato nello studio.

Dallo stridore dei sassi della spiaggia i due passarono all’appoggio solido e stabile della roccia e nel giro di pochi passi si trovarono avvolti tra le pareti scure dell’ingresso di una grotta.
«Ohhh…» L’eco della sorpresa di Lucy rimbalzò sulla roccia e li avvolse.
Charlie avanzò tronfio fino al punto in cui le pareti si stringevano per formare un corridoio non più largo di quello di una casa. «Quando la marea sale qui dentro si sente tantissimo rumore, sembra di essere in mezzo ad una tempesta.» Annuì ed allungò una mano ad indicare l’interno della grotta. «Vedi tutte le conchiglie intorno? L’acqua arriva fino a lì. Per quello noi abbiamo messo le nostre cose lassù in alto, così non si bagnano.» Sul fondo della sala, là dove l’erosione aveva scavato la roccia, delle pozze d’acqua confermavano le parole del ragazzo. In ogni polla, per quanto piccola fosse, si poteva distinguere il muoversi d’animali, per lo più granchi e gamberetti non più grandi del picciolo d’una mela.
Sulla destra, un gabbiano muoveva i propri passi goffi e barcollanti. Il pennuto si aggirava alla ricerca di qualche buona preda; l’intrusione degli umani lo innervosì e gli strappò un richiamo gracchiante, ingigantito poi dalla eco della sala. Lucy trasalì e si strinse a Charlie, le braccia si avvinsero a quello destro di lui e gli occhi azzurri sgranarono in un’espressione di sorpresa e timore.
L’indole cavalleresca del ragazzo venne mitigata dall’imbarazzo e quel che ne uscì fu un borbottare burbero. «E’ solo un gabbiano, mica ti mangia.»
«Non me lo aspettavo, mi ha spaventato.» Rispose lei tardando a lasciare la presa e ritraendosi solo dopo aver squadrato con astio l’uccello. «Cattivo gabbiano, pussa via.» L’agitare le mani verso l’animale sortì come unico effetto il fargli dispiegare le ali in un nuovo richiamo.
Charlie scivolò oltre la strozzatura dell’ingresso e risalì verso la nicchia laterale che lui ed i suoi amici utilizzavano come rifugio sicuro per i loro piccoli tesori. «Lascialo stare, se ne andrà da solo.»
Lungo il margine della nicchia erano state allestite delle rozze panche di legno, ottenute poggiando alcune assi su dei ceppi portati a riva dalle maree. L’insieme appariva troppo instabile, grezzo e sporco per i gusti di Lucy, ma la stanchezza ed il veder Charlie prender posto senza causare alcun crollo ruppero i suoi indugi e la convinsero a prender posto.

La voce del mare, simile ad un mormorio distante ed indistinto, li raggiungeva là dove si erano seduti «Il mare è davanti, ma le onde mi sembra di sentirle dietro.» Commentò Lucy dopo qualche istante d’ascolto.
L’amico annuì. «Ora si sente così piano perché il mare è lontano.» Sentenziò salendo in cattedra. «Quando le onde salgono sulla spiaggia diventa sempre più forte.»
Un fischio metallico catturò l’attenzione di entrambi e le forme squadrate di una nave da guerra traversarono la sottile striscia di mare che loro potevano scorgere. Qualche secondo più tardi, minuscole in confronto alla precedente, due motovedette transitarono nel medesimo spazio.
«Era una di quelle grandi.» Commentò Charlie. «Le motovedette devono aver visto qualche cosa.»
La ragazzina rabbrividì. «Spareranno ancora?» Quell’eventualità non le piaceva, ma lo aveva visto succedere molte volte e, suo malgrado, lo accettava come una cosa normale.
«Può essere.» Charlie si era alzato in piedi. «E’ meglio uscire, se la mamma li ha visti forse ci sta chiamando e da qui dentro non si sente niente.»

Lucy fu molto meno lesta di lui nel levarsi in piedi. La passeggiata tra i sassi della spiaggia l’aveva spossata e l’idea di dover abbandonare la comodità della panca non la allettava per nulla. «Forse non li ha visti.» Ipotizzò.
L’altro scrollò il capo con aria seriosa. «Mamma guarda sempre il mare. Quando ero ancora in pancia una barca è arrivata fino sulla spiaggia del faro e lei ha preso tanta paura.»
La ragazza annuì. Tutti al paese conoscevano l’episodio dello sbarco sull’isola del Faro: un peschereccio canadese aveva superato il cordone di controllo della marina ed era riuscito a toccare terra a pochi chilometri di distanza dal paese. Era stato il guardiano del faro a dare l’allarme e tutti i giovani si erano radunati per scacciare gli invasori. Lucy rabbrividì nel ripensare ai suoni degli spari così come nonna Sarah li aveva imitati nel raccontarle la storia.
«Va bene.» Sospirò infine. «Usciamo.»
Aveva appena raggiunto l’amico quando lo sguardo le cadde su una piccola pozza nei pressi dell’ingresso. «Charlie, cos’è quello?» Non più larga di uno dei piatti usati da sua madre per servire il tacchino e profonda forse una spanna, ospitava il navigare senza meta di un oggetto oblungo.

«Non so, non l’ho mai vista prima. Il mare porta sempre cose strane.» La curiosità era sempre stata il peggiore dei suoi vizi, sempre capace di scuotere lo spirito d’avventura ed usarlo per contrastare il buon senso. Dimentico del buon proposito di pochi istanti prima, il ragazzino deviò in direzione dell’oggetto sconosciuto. «E’ una bottiglia.» Sentenziò mentre la estraeva dall’acqua. «Sembra una di quelle della birra di papà, solo che è più piccola e tutta sporca.» La bottiglia era priva di etichette e portava su di sé la sporcizia di una lunga immersione. Attorno al collo una ragnatela di incrostazioni di salsedine sembrava un confuso insieme di collane, il fusto ed il fondo erano costellati da numerosi mitili ed intorno al tappo vi erano ancora alcuni grumi della pece utilizzata per chiuderla ed impermeabilizzarla. Il vetro, opaco fin dall’origine, aveva perso la trasparenza.
La ragazzina squadrò l’oggetto. «Chissà cosa c’è dentro.» Mormorò a mezza voce. Charlie scosse la bottiglia accanto all’orecchio. «Sembra vuota. E’ leggera e non si sente niente dentro.»
«Io ho sentito qualche cosa fare tic-tic.»
«La birra non fa tic-tic.»
«Magari non è birra. Prova a metterla contro sole, forse riusciamo a vedere cosa c’è dentro.»
Il volto di Charlie si illuminò. Lucy era troppo pigra e troppo femmina per dargli soddisfazione come compagna di giochi, ma nessuno nel suo gruppo di amici poteva tenerle testa in fatto di buone idee. Con la bottiglia ben stretta nelle mani e senza dar bado al gracchiare con cui il gabbiano era convinto di star cacciando i due dalla grotta, superò la strozzatura ed uscì sulla spiaggia. Nell’attraversare la bottiglia, il sole rivelò la presenza di un oggetto non più grande di un sigaro, attorno a cui oscillavano sottili barbigli.
«Ohhh…» Sussurrò Lucy. «Che bello, una bottiglia dei pirati!» L’entusiasmo trovò sfogo in un sonoro batter di mani.
«Una bottiglia dei pirati?» Tanta la convinzione della ragazza, tanta la perplessità di Charlie.
Lei annuì. «Sì, certo, non vedi che dentro c’è una mappa?»
Suggestionato da quelle parole, il ragazzo vide nell’ombra oblunga un rotolo di carta fermato da un laccetto. Dichiarò sgranando gli occhi. «Una mappa del tesoro! Come nei film della tivù.»
«Su, aprila, guardiamo la mappa. Se il tesoro è qui vicino forse riusciamo a trovarlo prima che venga buio.»
Charlie non se lo fece ripetere: si infilò la bottiglia sotto l’ascella destra e si mise ad armeggiare con il tappo. Dopo qualche minuto di tentativi infruttuosi sfogò la frustrazione calciando un sasso. «Ci vorrebbe un cavatappi, così non viene proprio via.»
Lucy lo osservò, il capo incorniciato dalle lunghe trecce bionde si piegò verso una spalla e la bambina usò un lungo sospiro come rincorsa per il proprio suggerimento. «Rompila.» E subito di seguito, raggiunta dalla lontana eco della saggezza materna. «Attento a non tagliarti.»
Poggiare la bottiglia su di una pietra ed usare un sasso per farne saltare il fondo fu questione di pochi attimi. L’età del vetro e le intemperie patite l’avevano reso molto più fragile di quanto il bimbo si aspettasse: lunghe crepe risalirono dal fondo fino al collo e solo quest’ultimo rimase intatto, il resto si sbriciolò in una cascata di frammenti iridescenti.
Semi sepolto in quell’insieme di cocci d’ogni dimensione si trovava un foglio ingiallito ed arrotolato, stretto da un cordoncino di velluto rosso.
«Mhhh, che puzza.» Si lagnò Lucy nel venir investita dall’odore stantio dell’aria rimasta prigioniera nella bottiglia.
L’afrore simile al sudore macerato aveva colpito anche i sensi del ragazzo ma questi, più per orgoglio che per reale disinteresse, aveva finto di nulla. Con una conchiglia aveva spostato la maggior parte dei cocci, poi aveva pescato l’involto.
«Aprilo, aprilo.» Cinguettò Lucy. Qualche secondo più tardi il laccio era caduto a terra ed il foglio era stato accuratamente dispiegato sulla calda superficie di una pietra.

Si trattava di una lettera, poche righe vergate da una mano poco educata alla scrittura. Le lettere erano grandi, le linee tremule, la composizione essenziale e si potevano distinguere chiaramente due diverse grafie.

Oggi è finita la scuola. Dopodomani partiamo per le vacanze, io vado al lago e Linda invece in campagna dai suoi zii.
Ho chiesto alla mamma se potevo andare al campeggio al lago come Carlton, ma lei ha detto di no.
Anche se non possiamo stare insieme noi rimaniamo comunque i più migliori amici e ci scriveremo.
Sì, ci scriveremo delle lettere vere, come quelle di mamma e papà quando erano giovani.
E quando torneremo ci porteremo anche un regalo. Io le porterò il più grande pesce del lago (o un nido di scoiattolo).
Io la crostata della zia Patty, quella fatta con le albicocche dello zio. E la mangeremo insieme.
Visto che i grandi erano tutti impegnati con cose da grandi, facciamo questa promessa al mare.
E la mettiamo dentro una bottiglia così anche lei andrà in giro per il mondo per tutta l’estate.

Carlton e Linda.

«Ohhh, hai visto? E’ la lettera di due bambini che dovevano partire per le vacanze, proprio come noi.» Nel tono di Lucy risuonava una calda nota di commozione e romanticismo.
«Già.» Charlie rispose con meno entusiasmo, l’idea di una mappa dei pirati lo stimolava molto più di quella di una lettera affidata al mare da bambini sconosciuti. «Hanno anche i nomi che cominciano con la stessa lettera. Lui con la ci e lei con la elle.» Commentò.
«Ohhh, è vero, è vero. Che cosa carina. Dovremmo scrivere anche noi una lettera e metterla in una bottiglia.»

«Charlie, dove siete?» La voce della madre del ragazzino rotolò lungo il declivio che separava la casa dalla spiaggia. «Lucy, la tua mamma è venuta a prenderti!» Il flusso di pensieri della bimbetta fu interrotto da quella dichiarazione ed il sorriso entusiasta mutò in una cupa espressione d’infelicità.
«Ma nooo, la mamma aveva promesso di venire al tramonto, è troppo presto.» Gonfiò le guance e sbuffò con aria indispettita. «Deve farci scrivere la lettera, adesso glielo chiedo.»
Charlie rimuginò per qualche istante. «No, meglio non dirle niente. Teniamola segreta, così siamo sicuri che non ce la portano via.» Con un gesto deciso il ragazzino si infilò il foglio in tasca. «La metto in un posto sicuro e quando torni scriviamo la risposta.»
Quell’idea di segretezza parve convincere la ragazzina che azzardò un nuovo sorriso.
«Charlie, Lucy, dove siete?»
«Arriviamo.»

«Perché quel muso lungo, Lucille?»
La madre stava guidando e, come sua abitudine quando erano da sole, usava il nome di battesimo della bambina come una sorta di loro privato soprannome.
«Niente.» Borbottò la bimbetta facendosi ancor più piccola nell’abbraccio del sedile.
«Non sei contenta di andare a trovare nonno Denis e nonna Florance? Dopo tutti questi anni, finalmente potrai conoscerli, non sei curiosa nemmeno un po’?» Il tono carezzevole e consolatorio della madre aprì uno spiraglio nell’umore nero della bambina.
«Perché non ci siamo mai andati prima?»
«Le frontiere sono state riaperte solo quest’anno, lo sai, ne abbiamo già parlato.»
«Per colpa degli americani, vero? Ma perché loro vogliono venire a casa nostra, mamma?»
La donna scrollò il capo e sospirò, una concessione del suo senso di carità nei confronti di milioni di sfortunati. «Non vogliono venire a casa nostra, Lucille, vogliono andarsene dalla loro. Anni fa c’è stata una brutta malattia e tutti hanno cercato di scappare… anche dei malati e la malattia è arrivata fino in Australia. Così tantissimi stati hanno chiuso i confini.»
«Come quando un amichetto prende l’influenza e non si può andare a trovarlo per qualche giorno?»
«Proprio così, solo che è durato tanti anni.»
«Da prima che io nascessi.» Quelle parole erano una sorta di ritornello nelle storie di nonna Sarah.
«Sì. Quando io e papà ci eravamo appena sposati.»

Charlie era seduto accanto alla finestra, i gomiti puntati sul davanzale ed il volto posato tra le mani. Lo sguardo era perso nella prima bruma della sera. Il padre stava ripulendo la rimessa, i suoni soffusi del suo lavoro e le sue imprecazioni giungevano fino alla cucina. Alle spalle del ragazzino la madre stava infornando la prima teglia di biscotti. La donna, conscia di quanto al figlio pesasse l’allontanarsi della compagna di giochi, aveva pensato di alleviarne la tristezza con i dolci. «Suvvia Charlie, si tratta solo di qualche mese.» Dichiarò mentre si dirigeva verso di lui. «Vedrai che passeranno in fretta. Potrai andare a pescare con Tom e la madre di Patric ti ha invitato ad andare con loro a Londra. Hai sempre voluto vedere Londra.»
«Potrò anche vedere Re William?» Quell’ipotesi parve scuotere il ragazzino dall’apatia.
«Credo di sì. Lo sai che a fine agosto c’è il corteo per il compleanno della Principessa Alessia. Quest’estate compirà diciotto anni, di certo il Re non mancherà.»
Charlie sorrise. «Allora farò un sacco di foto, così poi le potrò far vedere a Lucy.» Un istante di dubbio lo colse e, memore di quanto letto nel messaggio che ancora conservava in fondo ad una tasca. «Quando tornerà saremo ancora amici, vero mamma?»
La donna sorrise di rimando e mosse una mano per carezzare il capo del figlio. «Ma certo che sarete ancora amici. E’ solo andata a passare un’estate dai nonni, tornerà presto.»
«Tra quanto saranno pronti i biscotti?»
«Tra un’ora, ma dovrai aspettare dopo cena per mangiarli, altrimenti papà si arrabbia.»
«Non posso averne neanche uno?»
«E va bene, ma uno soltanto. Un biscotto non sarà certo la fine del mondo.» Un ammiccare complice comunicò al ragazzino che si sarebbe trattato di un loro piccolo segreto.

Un’ora più tardi Charlie ebbe il suo biscotto. La mattina del giorno successivo Lucy partì per la Francia e dopo aver visitato l’aeroporto di Londra e quello di Parigi, s’immerse nella quiete della campagna di Arles. Passati due mesi Charlie partecipò alla parata in onore della maggiore età della Principessa e, stretto nella ressa di migliaia di altri Inglesi, riuscì a scorgere ed applaudire il Re William e la Regina Kate. La tosse si fece sentire a fine agosto, quando mancava meno di una settimana al termine delle vacanze. Passarono altri nove mesi, un anno circa da quel pomeriggio sulla spiaggia, quasi dieci dal giorno in cui Carlton e Linda avevano affidato la loro lettera all’oceano, prima che il mondo degli uomini avesse fine.

La bottiglia era stata rapita dalla corrente, ormai un puntolino indistinguibile tra i flutti.
«Sei sicuro che così l’acqua non entrerà nella bottiglia?»
«Sì, me lo ha insegnato lo zio Hugh, lui fa così per i suoi modellini di barca, dice che l’acqua non passa per anni.»
«Chissà fin dove arriverà.»
«Zio Hugh dice che qui vicino passa la Corrente del Golfo, potrebbe arrivare anche al Polo Nord.»
«Appena arrivata a casa chiederò alla nonna una tazza di latte caldo con il miele, non vorrei che la mamma sentisse la tosse e non mi facesse uscire domani.»
«Sì, buona idea. Non vorrai perderti la festa per la fine dell’anno. Ci saranno tutti i nostri compagni.»

*** *** ***

Opinioni? Domande? Dubbi? Curiosità? Barzellette? Dite la vostra…

Stay Tuned.

  1. Rotolino
    8 marzo 2013 alle 14:53

    Dico la verità, dopo le prime righe ero certo che avrei preferito il primo racconto in quanto questo non aveva le premesse per rientrare nei “filoni letterari” da me preferiti.. Poi però c’è il finale che non ti aspetti!
    Complimenti, mi è davvero piaciuto *w*

    • 8 marzo 2013 alle 21:29

      Aspetta, aspetta… quindi sono riuscito a farti piacere di più un racconto così fuori dai tuoi canoni?
      Perché in questo caso c’è da festeggiare seriamente *_*

  2. Alessandro
    9 marzo 2013 alle 14:07

    Visto che è stato rotto il ghiaccio, prima di tutto metto la mia classifica di preferenze:
    1) Giorni di pioggia.
    2) Vacanze d’estate.
    3) La locanda dell’impiccato.
    Detto questo, ho una domanda tecnico/stilistica per Tale’s Teller: volevo sapere il motivo della scelta di uno stile così solidamente realistico e oggettivo, soprattutto nelle descrizioni; secondo te quali sono i pro e i contro?
    Io ho individuato un contro, quello di una certa uniformità nei tre racconti, nonostante i soggetti molto diversi. Cosa ne pensi?

    • 9 marzo 2013 alle 17:50

      Evvai, frantumiamo il ghiaccio.

      Quindi la classifica attuale è:

      Giorni di pioggia: 3
      Vacanze d’estate: 1
      La locanda dell’impiccato: 0

      Lo stile della descrizione rispecchia quello che mi piace leggere. Apprezzo le descrizioni che inquadrano bene i luoghi e mi piacciono i personaggi in cui posso riconoscere delle caratteristiche salienti. La diversificazione di stile tra i tre racconti è senza dubbio minima, forse l’unico dove se ne sente un po’ è “Vacanze d’estate” e su questo ti do ragione.

      Ad essere sincero non ho nemmeno cercato una diversificazione, il genere di scrittura è stata una conseguenza dell’effetto generale che intendevo dare.

      Vacanze d’estate voleva essere una sorta di grande affresco con una successione di riquadri in tinte molto pastello che finiva poi in una piccola orgia rosso sangue (in questo, probabilmente, avrei dovuto eliminare l’ultima parte che parla dei bimbi oltre oceano, perché rovina l’effetto). QUindi ho cercato di far sembrare il tutto più normale e tranquillo possibile, pur facendo comparire di quando in quando delle stranezza (normali agli occhi dei bambini) come l’incrociare di navi da guerra.

      Con Giorni di pioggia, oltre all’evento in sé, volevo ottenere tre sequenze visive. La prima è uno zoom-in che parte dalla dimensione del bosco e va via via a stringere sullo sconosciuto sulla veranda, la seconda è l’azione vera e proprio (con una sotto sezione che riguarda il flashback) e la terza uno zoom-out dallo chalet a tornare alla montagna. Per i due effetti di ingresso e di uscita la descrizione era la parte fondamentale, per la parte centrale diventava un artificio per distrarre dalla stranezza della continua mancata risposta da parte della persona a cui lo sconosciuto stava rivolgendosi.

      La locanda dell’impiccato è stata una tortura, ho dovuto depennare un sacco di cose per rientrare nei 18.000 caratteri. Credo che sia anche per quello che ho cercato di snellire e semplificare la narrazione.

      Come ultima considerazione c’è da dire che trovo noiosissime le sequenze di turbe, pipponi mentali e flussi di coscienza dei personaggi. Qualche pensiero, qualche allontanamento del flusso degli eventi è necessario per inquadrarli meglio e cercare di dargli spessore (vedi i pensieri della prostituta riguardo a Guglielmo), ma se la cosa si allunga come lettore mi annoio in modo micidiale.
      In questo caso, con racconti così brevi, ho cercato di costruire storie che non avessero esigenze di grossa introspezione da parte dei personaggi, l’esatto opposto de “La Congiura” dove la maggior parte della sostanza non è nell’evento in sé quanto più nelle motivazioni che lo creano e nelle reazioni emotive di Angelica.

      Sono riuscito a rispondere in modo comprensibile ed esauriente? Perché a metà strada ho avuto la sensazione d’essermi incartato…

  3. Alessandro
    10 marzo 2013 alle 13:55

    Grazie della risposta, è stata molto chiara, non temere.
    Anche secondo me, pur lasciandosi leggere con piacere, “La locanda” è il più debole dei tre; è un po’ compresso nei limiti imposti dal concorso.
    Dopo aver letto anche i tre racconti premiati ufficialmente, mi sembra che, alla fine, la selezionatrice abbia scelto in base al gusto personale e all’empatia con la tematica del racconto (sacrificando, spesso molto, altri aspetti).
    Credo sia difficile, nonostante alcune mode (che sono appunto mode, non reale interesse per il genere), che la letteratura fantastica sia apprezzata in Italia su larga scala (causa soprattutto dei dogmi iper-realistici di certa cultura ancora purtroppo imperante e molto pendente dalla parte sinistra). Quindi probabilmente partivi già con un piccolo handicap nei confronti di racconti che trattavano altri argomenti (vedi il lacrimevole vincitore).
    Scusa se ti presso, ma ho un’altra domanda scabrosa. Se ho ben capito, la tua volontà è stata quella di creare dei piccoli quadri, molto curati nella struttura, nel dettaglio e nell’atmosfera; hai mai pensato di trattare anche un problema/tematica/messaggio che, spero di essere chiaro, esula dalla trama in senso stretto? Non credi che possa essere un valore aggiunto in un racconto? Sempre rimanendo nel contesto del genere fantastico.
    Con questo non intendo, ovviamente, che ti devi buttare nella letteratura impegnata, sociale, o cose simili; e capisco bene che in 18.000 battute uno abbia le mani un tantino legate.

    • 10 marzo 2013 alle 18:22

      Molto chiara? Mitico!

      Fino all’ultimo minuto possibile (ho consegnato i racconti uno o due giorni prima della scadenza quando li avevo già pronti da un mese abbondante) pensavo di non spedirle nemmeno “La locanda dell’impiccato”, non mi ha mai convinto molto. E’ stato solo per i commenti entusiasti di una delle persone che mi hanno aiutato con la revisione che, alla fine, ho deciso di mandarlo.

      Senza dubbio l’Eccellentissima ha effettuato una scelta legata al suo gusto personale, è una delle cose che lei stessa ha sottolineato più volte e mi ha anche spiegato che la sua preferenza è stata molto legata ad una lettura “emotiva” dei racconti.

      Credo che il fantastico venga spesso confuso e messo in relazione biunivoca con la letteratura per ragazzi, le favole o, al limite, con i pornodemonivampiriassatanatidiragazzinelicealididubbiaintelligenza. Questo è uno dei motivi per cui quando mi viene chiesto cosa scrivo evito sempre di parlare di “Fantasy” ed uso il termine “Fantastico”. Non risolve il problema ma almeno evita di far suonare l’immediato campanello di “boiata imminente”.

      Passiamo alle domande scabrose. Per prima cosa, nulla da scusare, anzi, l’idea era proprio questa ed è un piacere rispondere. L’idea di toccare una tematica o di mandare un messaggio la trovo potenzialmente interessante ma è anche difficile da poter realizzare in modo funzionale. Molto spesso il “messaggio” rischia di saltare addosso al lettore e di oscurare il racconto vero e proprio (vedi la ‘leggerissima’ posizione anti clericale di Pullman nella Bussola d’Oro e seguito). Come lettore l’ho sempre trovato fastidiosissimo e quindi nello scrivere parto con l’handicap di non voler rischiare lo stesso effetto.

      In generale credo poco nei racconti con un messaggio, ed ho più fiducia nei racconti che presentano dei messaggi attraverso le riflessioni o le posizioni prese dai personaggi. In questo modo è possibile per il lettore confrontarsi con un pensiero (non ho l’arroganza di parlare di filosofia) diverso, di trovarlo affine o di rigettarlo senza che questo valga per l’intera opera. Personaggi diversi avranno pensieri diversi e lettori diversi potranno trovarsi più affini ad alcuni personaggi e meno affini ad altri, quello che vorrei riuscire a fare è il mantenermi imparziale ed evitare di dare giudizi di merito.

      Volendo fare un esempio (anche se molto risicato) posso usare le figure di Guglielmo e Ferdinando della Locanda. Entrambi hanno una loro visione del mondo (esplicitata dai pensieri o dalle azioni), nessuno dei due può essere considerato un eroe, ma per entrambi ci sono caratteristiche con cui il lettore potrebbe trovarsi affine. Da una parte un individuo dedito al culto di sé, dall’altra una sorta di angelo vendicatore. Nessuno dei due è buono, ma entrambi hanno una propria versione del significato dell’onore.
      Alla fine della storia uno dei due prevale, ma non lo fa per le proprie qualità morali, si tratta semplicemente di astuzia ed abilità. Il male viene punito, ma non da un cavaliere in brillante armatura, ma da un male differente.

      E’ ovvio che in un racconto così breve si tratta di piccole cose ed è quindi difficile considerarli dei veri e propri “messaggi”, ma ampliando ad un racconto più ampio c’è sempre il tentativo di mettere il lettore a confronto con situazioni in cui i personaggi si trovano a confrontarsi con problemi di natura morale (succede spesso nella Congiura).
      Una volta presentata la situazione ne segue una scelta fatta dal personaggio che non vuole essere un “insegnamento”, ma solo presentare una delle possibilità scelta tra quelle a cui potrebbe arrivare una qualsiasi persona si trovasse nella medesima situazione.

      Anche qui sospetto di aver perso il filo del discorso… o.o

  4. Katia T.
    11 marzo 2013 alle 14:56

    Bellissimo e pittorico. Amo la descrizione dei luoghi, dei suoni, degli echi del mare che rimandano alla nuda trama del racconto senza essere invadenti, lasciando al lettore la possibilità di intuire mentre viene cullato dalle immagini visive.
    Riguardo il plot in sé, sono molto affascinata dagli scenari distopici, eppure verosimili, per cui incontra i miei gusti personalissimi ma anche la mia intuizione già all’inizio.
    Sapiente aver lasciato un evento così terribile dentro lo scrigno innocente dei desideri dei bambini e averlo consegnato alla partecipazione coinvolta del lettore.

    • 11 marzo 2013 alle 20:20

      Ho fatto tutte quelle cose lì? Davvero? Mitico!

      Mi fa piacere di aver centrato il tuo gusto ed ancor di più che la lettura sia risultata così vivida come la descrivi. L’evento del racconto (il viaggio della bottiglia) l’ho rubacchiato da un fatto di cronaca vecchio di qualche mese. Dei bambini inglesi (non ricordo di dove) hanno davvero trovato una bottiglia proveniente dagli Stati Uniti, con un messaggio scritto da bambini loro coetanei. Il viaggio è durato dodici anni, quindi i “vecchi” bambini non esistevano più erano stati sostituiti da adulti.
      A partire da questo… tutto il resto.

      Sappi che se mai mi servisse una breve descrizione per qualche cosa che ho scritto verrò a bussare alla tua porta perché, meglio di così…

      • Katia T.
        11 marzo 2013 alle 20:35

        Onorata

      • 11 marzo 2013 alle 20:38

        Hai letto la “presentazione” che ho scritto per La Congiura?
        E’ stata un vero parto… una serata di lavoro per tre righe o.o

  5. Alessandro
    11 marzo 2013 alle 15:01

    Ahahah, no, non hai perso il filo. Anzi, tutto è chiaro e coerente (e mi sembra un’ottima cosa).
    La domanda sul messaggio/tema è nata sempre dall’interrogarsi sui racconti premiati del concorso. Ad esempio, il secondo, quello migliore tra i tre, ne ha uno di partenza, che viene realizzato dalla trama: è un tema molto caro alla letteratura moderna, e credo si possa riassumere con l’incapacità di vivere la propria vita, il tempo sprecato e avere una seconda possibilità (non so se l’autrice ci creda veramente, ma questo è un ulteriore problema).
    Poi, sono d’accordo con quello che scrivi, quando uno scrittore diventa troppo petulante o cattedratico anch’io perdo interesse (vedi i vari WuMing di “o credi nella lotta di classe o sei fascista” o i presunti oracoli degli scrittori televisivi). Però, non bisogna neanche dimenticare che una grande tradizione letteraria è proprio edificante/morale, come per i francesi; in Germania si è creato un vero e proprio genere letterario che è il Bildungsroman, il romanzo di formazione (fin dal Medioevo col Parzival, passando per Goethe, arrivando a Hesse o al Thomas Mann della Montagna magica).
    Alla fine, e parlo in generale, credo che uno dei compiti più importanti della letteratura sia quello di una critica radicale (non intesa necessariamente in senso distruttivo, ma comunque forte) di ciò che ci circonda, con strumenti e modalità diversi rispetto ad altre disciplina come la filosofia o le scienze. Di una, anche traumatica, spinta alla riflessione e ad aprire le cose. Poi il casino, e il bello, è cercare di chiuderle.

    • 11 marzo 2013 alle 20:27

      Ecco… riuscire ad ottenere il risultato di spingere a riflettere non mi dispiacerebbe per nulla. Al di là di personaggi e/o intrecci che suscitino emozioni e/o sensazioni mi piacerebbe riuscire a portare alla riflessione. Non necessariamente come scopo principale – resta valido quel che dicevo riguardo a tanti piccoli messaggi piuttosto che ad un unico caravan di pseudofilosofia – ma come parte dell’insieme.

      Anche in questo torna valido il presentare, per mezzo dei personaggi, diverse tipologie di pensiero e di mettere il lettore a confronto con le scelte – quindi la razionalità e la moralità – dei personaggi, in modo da risvegliare la riflessione sia per “simpatia” che per “ostilità”.

      Quando rileggerò in fase di revisione ci farò attenzione.

  6. 11 marzo 2013 alle 20:14

    Aggiorno la classifica dopo il parere espresso da Katia:

    Giorni di Pioggia e Vacanze d’estate: 4
    La locanda dell’impiccato: 0

  7. 11 marzo 2013 alle 20:15

    ODIO WordPress! Avevo risposto a tutti e tre i commenti (due di Katia ed uno di Alessandro) e lui se n’è bellamente sbattuto i circuiti… perso tutto. Ma pork!

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